sabato 6 dicembre 2014

ORIZZONTALI SON TUTTE UGUALI





Siamo nel 1866 e il pittore realista Gustave Courbet riceve dal diplomatico turco Khalil-Bey, la commissione di eseguire un dipinto erotico. 
Nasce così, su commissione, uno dei dipinti a mio avviso più significativi dell'ottocento e non solo...
Il quadro è un sesso femminile, punto. Mail titolo è esplosivo: L'origine del mondo. Non riesco a trovare modo più poetico, rispettoso, sacro, per definire l'essenza della donna.

(Gustave Courbet, L'origine du monde, 1866, Louvre)

Non c'è niente di banale, niente di scontato, niente di pornografico in questo quadro.
Questa è la porta d'ingresso da cui tutti siamo passati per entrare in questa dimensione, questa è l'origine, ed è femmina.
E' bello che questo riconoscimento venga da un uomo, che venga dall'altra parte.
Mi viene spontanea una riflessione, di fronte a questo quadro.
Fu commissionato per entrare in una collezione di cui facevano parte, tra gli altri, "Il bagno turco" di Ingres, e il "Sonno" sempre di Courbet.


Courbet, Il sonno.

Ingres, il bagno turco.















Una collezione erotica...all'epoca non c'era internet. All'epoca la donna era relegata in un ruolo subalterno, non godeva dei diritti di cui gode ora, non aveva la libertà che ha ora, le lotte femministe erano ancora lontane. La donna non era rispettata, in una società maschilista come quella. Allora, mi chiedo, com'è possibile che da una mentalità del genere, nascano tali visioni sulla natura femminile?
La società maschilista dell'ottocento ci lascia un quadro come l'Origine del mondo, nel quale viene riconosciuta la potenza e la divinità della femmina, la divinità!!
Ci lascia quadri di amori saffici in cui emerge morbidezza, poesia. Ci lascia immagini di bagni turchi che trasudano erotismo ma mai pornografia, dove c'è rispetto per il corpo e per la natura della femmina, dove la donna è bella ed è rappresentata in tutta la sua potenza naturale.

La nostra società cosa ci lascia della donna? 
La prima cosa che mi viene in mente è una pubblicità che vidi nella vetrina di una farmacia. Mi viene in mente perchè fu ripreso proprio un quadro dello stesso Courbet, che rappresentava una bagnante, giunonica, realistica, e accanto veniva messa l'immagine di una barbie, di gomma, finta, perfetta, senza un filo di cellulite.



 La casa farmaceutica produttrice della crema voleva dimostrare l'efficacia del loro prodotto...ma perchè non mettere allora l'immagine di una scultura del Canova? 
No. Perchè anche le Tre Grazie del Canova non sono perfette! Nemmeno l'ideale di perfezione classico va bene, mantiene ancora qualcosa di umano sebbene per definizione tenda a cercare la perfezione assoluta che in natura non esiste. 



La barbie invece è perfetta, e allora vai con le creme, vai con la chirurgia plastica, vai coi mostri di gomma...ma questo è un vecchio discorso, tristemente e inutilmente inflazionato.



La cosa che mi colpisce è che, dopo tutte le lotte che sono state fatte, dopo le manifestazioni di piazza all'urlo di "la fica è mia, me la gestisco io", ci ritroviamo in una società che pubblicizza la donna come oggetto plastificato in gomma pronto per l'uso. 
Che visione c'è oggi della donna?
Una visione sessuale, la donna liberata si è trasformata da divinità sacra che dona la vita a corpo da usare per godere, da scegliere comodamente seduti a casa propria su un catalogo. Ce n'è per tutti i gusti in commercio. 
La donna è diventata una porta in cui entrare per trovare un pò di divertimento, pace, oblio o semplicemente per scaricare una tensione. 
Oppure, quando è particolarmente abile, la donna può ambire il passaggio dal calendario al Parlamento, quella è la strada maestra per far carriera.
Certo, non è sempre così, ci sono donne che riescono a raggiungere realizzazione e indipendenza senza dover ricorrere a chirurgie estetiche, calendari porno, prestazioni private, festini in maschera ecc...ma non se sa niente, quelle non fanno immagine, quelle non sono un esempio, quelle non si vedono.
C'è qualcosa che non torna in tutto questo, mi pare di un ovvio desolante.

martedì 18 novembre 2014

AMNIOS






“ ...E’ ora così densa di quei fantasmi l’aria,
che nessuno sa più come evitarli.
Se un giorno mai di limpida ragione ci sorride,
la notte nella trama dei suoi sogni ci chiude.
Un uccello gracchia. Che gracchia? Sciagura.
Persi mattina e sera nelle reti della superstizione
segni, apparizioni, ammonimenti..
E, spauriti, si rimane soli.
La porta cigola e nessuno viene avanti.”

J. W. Goethe, Faust



Certamente l'inconscio ci domina, che lo sappiamo o no.
Se non ne siamo coscienti, viviamo nell'illusione di essere padroni dei nostri gusti, delle nostre simpatie e antipatie. Il cervello ci aiuta dandoci delle spiegazioni razionali e convincenti, tanto più convincenti quanto più siamo intelligenti.
Quando diciamo: mi piace per questo motivo e per quello, non mi piace per quello e per quell'altro l'altro.
Io penso, io voglio, io faccio...io, io, io...ma io chi?
Io che oggi provo amore per te, domani potrei odiarti con tutte le mie forze e magari chissà, anche ucciderti.
L'inconscio, questo mare oscuro e gonfio che si nasconde dietro alla "normalità" e più sei normale e più l'inconscio si gonfia, si alimenta e prende potere.
Poi capita di andare a letto e fare un sogno che ci sconvolge. ci svegliamo turbati, profondamente scossi, umorali...ma per "fortuna"c'è un solco già scavato da secoli dentro al quale crediamo di avere libertà di movimento. e invece siamo come pecore.
Ogni volta che si affaccia alla coscienza qualcosa di assolutamente inaccettabile scattano meccanicamente tutti degli stratagemmi di rimozione volti a ributtare nel mare oscuro della psiche l'istanza indesiderata. E così si tira avanti, senza sapere che siamo seduti su una pentola a pressione che potrebbe scoppiare da un momento all'altro.
A meno che...a meno che non riconosciamo all'inconscio delle possibilità del tutto precluse alla coscienza.
Dobbiamo fare come Giona nella balena, farci inghiottire completamente dal mostro e, una volta dentro, confrontarci con lui.
Ma certe cose non si decidono a tavolino, non è che uno alla mattina si sveglia e decide di "affrontare il mostro". Anche perchè prima bisogna rendersi conto della sua presenza, e questo non è per niente facile.
L'energia psichica è piena di pretese e vuole essere incanalata in un modo preciso e solo in quello, e questo modo cambia a seconda degli individui, ognuno ha il suo e, qui sta il dramma, non è facile capire quale sia.
"naturam si sequemur ducem, numquam aberrabimus".


martedì 12 agosto 2014

LA VERA STORIA DELLA GATTA PALLA


















(Dedicato alla mia gatta, sgraziata, tonda e col pelo ispido. Così strana da non sembrare neppure un gatto. Non ho mai più avuto un animale tanto particolare.)













domenica 22 giugno 2014

PASSACAGLIA DELLA VITA



O come t'inganni
Se pensi che gli anni
non hann'da finire,
bisogna morire.

E' un sogno la vita
Che par si gradita,
è breve il gioire
bisogna morire.
Non val medicina
Non giova la China,
non si può guarire, 
bisogna morire.

Non vaglion sberate,
minarie, bravate
che caglia l'ardire,
bisogna morire.
Dottrina che giova,
parola non trova
che plachi l'ardire,
bisogna morire.

Non si trova modo
di scioglier'sto nodo,
non val il fuggire,
bisogna morire.
Commun'è il statuto,
non vale l'astuto
'sto colpo schermire,
bisogna morire.

Si more cantando,
si more sonando
la Cetra, o Sampogna,
morire bisogna.
Si more danzando, 
bevendo, mangiando;
con quella carogna
morire bisogna.

La Morte crudele 
a tutti è infedele,
ogn'uno svergogna,
morire bisogna.
E' pur ò pazzia
o gran frenesia,
par dirsi menzogna,
morire bisogna.

I Giovani, i Putti
e gl'Huomini tutti
s'hann'a incenerire,
bisogna morire.
I sani, gl'infermi,
i bravi, gl'inermi,
tutt'hann'a finire
bisogna morire.

E quando che meno
ti pensi, nel seno
ti vien'a finire,
bisogna morire.
Se tu non vi pensi
Hai persi li sensi,
sei morto e puoi dire:
bisogna morire.







martedì 22 aprile 2014

SUL SONNO E SUL SOGNARE




« L'uomo moderno vive nel sonno; nato nel sonno, egli muore nel sonno. Del sonno, del suo significato e della parte che ha nella vita, parleremo più tardi, ora riflettete soltanto su questo: che cosa può conoscere un uomo che dorme? Se ci pensate, ricordandovi nello stesso tempo che il sonno è la caratteristica principale del nostro essere, subito vi diverrà evidente che un uomo, se vuole realmente conoscere, deve innanzi tutto riflettere sulla maniera di svegliarsi, cioè sulla maniera di cambiare il suo essere. »

Da "Frammenti di un insegnamento sconosciuto"  P.D. Ouspensky  (Astrolabio)


Che è mai la vita? Una frenesia. Che è mai la vita? Un'illusione, un'ombra, una finzione... E il più grande dei beni è poi ben poca cosa, perché tutta la vita è sogno, e gli stessi sogni son sogni!
 Pedro Calderón de la Barca 









 











martedì 25 marzo 2014

ARTE E SPIRITUALITA'

                                                                   
                             
 L'arte che non ha avvenire, che è solo   figlia del suo tempo ma non diventerà mai madre del futuro è un'arte sterile. Ha vita breve e muore moralmente nell'attimo in cui cambia l'atmosfera che l'ha prodotta.
                                                                                                     (W.Kandinsky, Lo spirituale nell'arte)


Nel secolo scorso, una tra le figure più importanti del panorama artistico europeo e non, fu Vassily Kandinsky.
Insieme a Franz Marc, Thomas de Hartmann, Paul Klee, Auguste Macke, ed altri, stese uno dei manifesti più significativi dell'arte del '900: "Il cavaliere Azzurro".
Personalmente la lettura di questo almanacco insieme all'altro saggio di Kandinsky dal titolo:"Lo spirituale nell'arte" è stata di grande aiuto e conforto.
Conforto perchè vi ho trovato l'espressione di una sensibilità che comprendo.Inoltre, il fatto che altri prima di me avessero intuito l'esistenza di certe dimensioni rarefatte della percezione, mi ha fatto sentire meno sola nel mio percorso di ricerca.
Aiuto perchè vi ho trovato numerosi spunti e riflessioni sulla strada da seguire.


Copertina per lo spirituale nell'arte (1912)


I concetti espressi da Kandinsky per quanto riguarda la pittura sono di un'attualità impressionante, e oggi, in una dimensione dell'arte dove il dio soldo è diventato l'unico padrone della scena, certi concetti acquistano un peso, a mio avviso, fondamentale.
Kandinsky insiste molto sul concetto di "necessità interiore", intendendo con quest'espressione la forza che spinge l'artista a creare un'opera d'arte.
Questa forza è di natura spirituale.
Nell'introduzione al saggio "Lo spirituale nell'arte" Kandinsky anticipa quello che il nostro secolo sta attualmente vivendo, cento anni fa infatti egli scriveva:

"La nostra anima si sta risvegliando da un lungo periodo di materialismo, e racchiude in sè i germi di quella disperazione che nasce dalla mancanza di una fede, di uno scopo, di una meta".

E più avanti aggiunge: "Sentimenti rozzi come paura, gioia, tristezza, ecc, che nell'epoca della tentazione potevano ancora costituire materia d'arte, interessano meno l'artista. L'artista cercherà di suscitare sentimenti senza nome. La sua è una vita complessa, relativamente aristocratica e le sue opere daranno allo spettatore sensibile emozioni sottili, inesprimibili a parole".


(Kandinsky, Primo acquerello astratto, 1901)

Questa interpretazione dell'arte è particolarmente impegnativa ed elevata, il riuscire a far nascere all'interno dello spettatore sentimenti sottili e impercettibili, è un compito che si addice a un maestro spirituale.
Da questo punto di vista però la collaborazione dello spettatore è fondamentale. Aggiunge infatti Kandinsky:

"Attualmente però lo spettatore è quasi sempre incapace di emozioni. Nell'opera d'arte cerca una mera imitazione della natura a scopo pratico (ritratti o simili), o un'interpretazione, cioè una pittura impressionistica, oppure degli stati d'animo rivestiti di forme naturali, vale a dire un'atmosfera, una Stimmung".

Con questo non intende criticare o rigettare l'arte del passato. Solo vuole puntualizzare il fatto che questo tipo di arte, sebbene impedisca all'animo dello spettatore di involgarirsi, non esaurisce però tutte le potenzialità dell'arte.

Il cavaliere azzurro, Almanacco.


Kandinsky va oltre e capisce che l'arte è anche altro, rispetto a quello che è stata nel passato, e questo altro è ciò verso cui l'arte deve e dovrà tendere per non perdersi e scomparire.
Egli sostiene che il mero riproporre un tipo di arte che non risponde più alle esigenze e ai canoni della società che sta cambiando significa riproporre forme ormai vuote.
L'arte greca, bellissima e perfetta, appartiene ad una civiltà che ormai non esiste più, una civiltà che aveva le sue regole e la sua sensibilità e che la esprimeva attraverso quel particolare tipo di arte.
Cercare di opporre alla degenerazione dilagante vecchi modelli di arte, significa perdere una battaglia fondamentale, e, a mio avviso, lasciare campo aperto al brutto dilagante.
E' innegabile che ormai l'arte abbia preso una direzione che non la porterà da nessuna parte.
Non tutta certo. Esistono moltissimi artisti dotati di sensibilità e spiritualmente impegnati che si interrogano, cercano, e usano il mezzo espressivo che hanno per comunicare con l'anima dello spettatore.
Ma accanto ad essi e in misura molto più impegnativa, esiste tutta una massa di artisti che nutrendo il proprio ego non fanno altro che alimentare il brutto dilagante.
Il mercato purtroppo fa la sua in tutto questo, e la fa in maniera dominante.

Alla luce di queste riflessioni le parole di Kandisky risuonano come un monito per tutti, artisti e spettatori:

"La gente tiene in mano i cataloghi. Li sfoglia, legge i nomi passando da una tela all'altra. Poi se ne va, povera o ricca com'era venuta, ed è subito riassorbita dai suoi interessi che non hanno niente a che fare con l'arte. Perchè è venuta?[...] Chi poteva parlare non ha detto nulla e chi poteva udire non ha udito nulla.
E' questa "l'art pour l'art". Questo annullare i suoni interiori, che sono la vita dei colori, questo disperdere nel vuoto l'energie dell'artista è "l'arte per l'arte" [...]. La vita spirituale di cui l'arte è una componente fondamentale, è un movimento ascendente e progressivo, tanto complesso quanto chiaro e preciso. E' il movimento della conoscenza"


Ogni opera d’arte è figlia del suo tempo, e spesso è madre dei nostri sentimenti […] 
Non c’è nessun dovere in arte. L’arte è eternamente libera. 
Fugge il «dovere» come il giorno la notte 
Vasilij Kandinskij Lo spirituale nell’arte, 1911


Balletto russo (August Macke) (Russisches Ballett),1912




martedì 4 marzo 2014

ARTE DEGENERATA?



Mi è rimasta molto impressa la scena di un film, che non mi è piaciuto, ma che mi ha fatta riflettere. la scena è la seguente: un soldato nazista, col lanciafiamme, distrugge una serie di quadri di arte "degenerata"...
Una scena del genere provoca ovviamente sdegno, riprovazione, orrore e chi più ne ha più ne metta. Soprattutto se i quadri bruciati portano fiirme come:Picasso, Chagall ecc... .
Sarebbe troppo facile però bollare questi episodi, che non sono scene di finzione ma sono accaduti realmente, come atti folli di un periodo folle.
Sappiamo che dietro a gesti come questo vi sono teorie serie e radicate, che non possono essere liquidate con un semplice moto di sdegno, peraltro fin troppo facile oggi.
Mi dico: se i nazisti avessero visto quello che gira ora cosa avrebbero fatto? quando vedo l'intervista alla signora delle pulizie di Bari che ha scambiato un' "opera d'arte" per spazzatura e l'ha buttata via, gongolo nel mio intimo. 
Quella è davvero spazzatura e non merita altro che il cassonetto (sempre secondo me)...
Non nego che quando sono stata ad Art Basel, di fronte a certe cose e alle cifre che ci giravano intorno, se avessi avuto un lanciafiamme forse mi sarei improvvisata anch'io nazista e avrei fatto un gesto folle...
effettivamente il concetto di arte degenerata si applicherebbe bene, a mio avviso, a quello che ci vediamo intorno oggi.
Poi però penso a Paul Klee (uno per tutti), che è il pittore che più mi tocca nel panorama del Novecento. Penso alle cose che ha scritto, alla dedizione e l'amore che ha messo nella sua opera. Non riesco a trovare niente di degenerato nel suo animo. Leggete i diari, ne emerge una natura forte e sensibile allo stesso tempo, un uomo che ha dedicato tutta la vita ad una passione, la pittura, e ha prodotto a mio avviso, opere che esprimono sensibilità, equilibrio, ironia.
Bollare la sua opera come "degenerata" proprio non mi riesce. 
Eppure è stato fatto, e non da persone digiune di conoscenze artistiche.
Il problema sta tutto nel momento in cui ci si pone di fronte all'opera secondo me.
Con che occhi la guardiamo?
Con la vista del cervello o con la vista del cuore?
Perchè se usiamo il cervello per guardare un'opera, non possiamo non applicare tutte le teorie che conosciamo, ragioniamo l'opera e decidiamo se è buona o cattiva in base a un'idea.
Ma se la guardiamo col cuore, allora la sentiamo, e solo in quel momento possiamo capire se un'opera ci parla oppure no, se esprime bellezza oppure no.
Un'anima bella non può non produrre bellezza, indipendentemente dal mezzo, dalla forma e dagli strumenti che usa.
Indipendentemente dalla razza a cui appartiene, indipendentemente dal credo religioso che abbraccia.
Per tornare alla signora di Bari, trovandosi di fronte a uno scatolone vuoto e a delle bottiglie di birra buttate a terra, ha giustamente sentito che quella era spazzatura, perchè lo era, e l'ha buttata.
Quella è arte degenerata, ma non c'è bisogno di scomodare J.A.C. de Gobineau....
Preferisco allora parlare in termini di arte oggettiva e soggettiva.
Se entriamo in questo ambito accetto il giudizio di Osho:
"Osserva i dipinti di Picasso. È un grande pittore, ma è solo un artista soggettivo. Se guardi i suoi quadri, inizi a sentirti male, ti girerà la testa, comincerai a dare i numeri. Non puoi guardare i quadri di Picasso per troppo tempo. Ti viene voglia di scappare, perché il quadro non è nato da un essere silenzioso. Nasce dal caos. È il sottoprodotto di un incubo. Ma il novantanove percento di tutta l'arte appartiene a questa categoria"
Non credo che Osho però avrebbe mai preso un lanciafiamme per distruggere un quadro di Picasso. Semplicemente ne sarebbe stato lontano, perchè una pittura del genere, riflettendo l'animo caotico e materialista dell'artista, gli avrebbe procurato sensazioni di inquietudine e agitazione.
Picasso era un uomo terrestre, che ha dedicato tutta la vita alla pittura e ha vissuto intensamente, ha vissuto la materia e l'ha rappresentata, col suo caos, con la sua forza, con la sua brutalità.
Poi penso a Morandi...alle sue bottiglie, alle nature morte, a quei quadri che invece esprimono silenzio, stasi, assenza.
Non posso non sentire un animo riflessivo dietro a queste opere, una persona solitaria, che percepiva l'inconsistenza della realtà e la rappresentava.
Arte soggettiva certo, ma più vicina a un concetto di meditazione rispetto ai quadri di Picasso.
Alle volte anche una persona che non si è mai posta problemi di natura spirituale può accedere a dimensioni altre, in modo inconsapevole e quindi molto più vero che se le avesse cercate di proposito.
Certe cose però si sentono, non si capiscono. E per sentirle bisogna sgombrare la mente da tutte le idee che la affollano, da tutte le teorie, e ascoltare se stessi, se dentro abbiamo qualcosa, allora quel qualcosa vibrerà e riconoscerà dove c'è del vero, del bello, del vivo.



OPERA D'ARTE NELLA SPAZZATURA:



per chi volesse approfondire il concetto di "arte degenerata":

http://www.frammentiarte.it/dall'Impressionismo/movimenti/arte%20degenerata.htm
















giovedì 9 gennaio 2014

Arte soggettiva e arte oggettiva

UNA PRECISAZIONE


E ormai da molti secoli, si è perduta la chiave di tutte le arti antiche. Infatti non esiste più l’arte sacra, l’arte che incarna le leggi della Grande Conoscenza ed esercita un’influenza sulla vita delle masse. Oggi non ci sono più dei creatori. I “sacerdoti dell’arte contemporanea” non creano, ma imitano: corrono dietro alla bellezza o alla verosimiglianza, se non addirittura alla cosiddetta “originalità”, senza avere le conoscenze necessarie. Poiché non sanno niente e non sono in grado di fare niente, brancolano nel buio; eppure, la folla li venera e li mette su un piedistallo. Tutte le banalità, sulla scintilla divina, il talento, il genio, la creatività, al sacralità dell’arte, oggi non hanno alcun fondamento,sono solo degli anacronismi. Cosa sono mai questi “talenti”?
Delle due l’una: o si definisce “arte” il mestiere del calzolaio, o si deve considerare artigianato tutta l’arte contemporanea.
Gurdjieff "Vedute sul mondo reale"


Arte soggettiva vuol dire che riversi la tua soggettività sulla tela - i tuoi sogni, le tue fantasie. È una proiezione della tua psicologia.[...] La tua arte è come un vomito. Ti aiuta, proprio come il vomito ti è di aiuto. Manda via la nausea, ti fa sentire più pulito, più sano. (Osho)

Queste, le parole di Osho e Gurdjieff a proposito dell'arte. Partendo dal presupposto che tutti noi ci muoviamo in un ambito soggettivo, io credo che sia responsabilità di chi si definisce artista (io per prima) l'avere rispetto per il pubblico che guarda e non riversargli addosso, per quanto possibile, le proprie sofferenze e angosce o anche le proprie elucubrazioni mentali... .
Quando dipingo un quadro penso sempre che un giorno sarà appeso in un salotto o in una camera o anche in bagno, perchè no! E mi sento profondamente responsabile dell'effetto che produrrà in chi lo guarda. Consapevole dei miei limiti, ho deciso di produrre delle tele che almeno suscitino nell'osservatore un sentimento positivo, mettendo da parte tutte le contorsioni del mio ego, che per quanto profonde e complesse possano sembrare, sono e restano contorsioni fini a loro stesse.
In un mondo pieno di negativo, di crisi, di angosce, di cronaca nera, e chi più ne ha più ne metta, credo sia un dovere quello di offrire una "boccata di leggerezza" e di gioia.


martedì 7 gennaio 2014

SUL ROSSO E ALTRI COLORI



[...] Chi conosce il sorgere prismatico del porpora non troverà paradossale se affermiamo che esso contiene, in atto o potenza, tutti gli altri colori.
[...]L'azione di questo colore è particolare come la sua natura.Esso dona un'impressione tanto di gravità e dignità che di clemenza e grazia. E produce la prima nel suo stato scuro e concentrato, la seconda nel suo stato chiaro e rarefatto. Cos' la dignità della vecchiaia e l'amabilità della giovinezza possono vestirsi di un unico colore. 
Della gelosia dei potenti verso il porpora la storia narra parecchi episodi. Un ambiente di questo colore è sempre solenne e sfarzoso. 
Un paesaggio ben illuminato attraverso un vetro color porpora, si mostra in una luce terribile. E' la tonalità che il giorno del Giudizio dovrebbe pervadere cielo e terra. 

Selvaggi, popoli primitivi, fanciulli, mostrano una forte propensione per il colore nella sua massima energia e quindi, specialmente per il rosso e il giallo, nonchè una certa tendenza al variopinto. Quest'ultimo ha origine quando i colori vengono composti nell'energia massima senza squilibrio armonico. Se però si trova questo equilibrio, o per istinto o per caso, ne risulta un effetto piacevole. 

Se i colori producono stati d'animo, d'altro lato si adattano a stati d'animo e condizioni di vita. Popoli vivaci come i francesi amano i colori intensi, popoli misurati come inglesi e tedeschi, prediligono il paglierino o il giallo cuoio su cui portano dell'azzurro scuro. Popoli che ripongono grande valore nella dignità, come l'italiano e lo spagnolo, fanno tendere il rosso dei loro mantelli verso il lato passivo. 
Nel vestito si mette in relazione il carattere del colore col carattere della persona. si può osservare il nesso tra i singoli colori o i colori composti e il colorito del volto, l'età e lo stato sociale.
Le giovani donne inclinano al rosa e al verdemare, gli anziani al viola e al verde scuro. La bionda tende al viola e al giallo chiaro, la bruna all'azzurro e al rosso-giallo e, tutto sommato, con ragione. 
Gli imperatori romani erano gelosissimi del porpora. La veste dell'imperatore cinese è in rancio-porpora. Anche i suoi servi e sacerdoti possono portare il giallo limone.
Le persone colte mostrano una certa avversione al colore. Ciò può risultare in parte da una debolezza dell'occhio, in parte da un'incertezza del gusto che tende a mettersi al riparo del nulla. 
Le donne vestono quindi quasi sempre di bianco e gli uomini di nero.
Non è qui fuori luogo osservare che l'uomo tanto ama distinguersi quanto confondersi tra i propri simili. 
(J. W. Goethe, La teoria dei colori)